Chi prova Dolore non teme più nulla
I soliti strumenti mi cadono dalle mani. Mi fa comodo accedere al passato, a quegli schemi e a quei fantasmi che appagano i miei bisogni immediati necessari per liberare la rabbia. Invece adesso lascio le finestre aperte e faccio entrare aria. Respiro. Mi alzo, decido di uscire di casa, dedico a me il pomeriggio. Un velo di cipria per rendere la pelle del viso uniforme, un po’ di mascara perché le ciglia sono lunghe si, ma non sono naturalmente nere, lo sguardo così è più intenso. Osservo il mio volto nello specchio. Vedo la nuova me, resto inebetita, mi riscopro così come mi ero lasciata tempo fa, sognatrice, libera, onesta con me stessa. Sono disabituata a quella me. Sento il corpo vivo, tutto tendini e siero vitale, sensuale. Ascolto la mia profondità emozionale che non ricordavo più di avere.
Esco. Giubbino nero e una montagna di capelli sciolti, ricci e lunghi che popolano le mie spalle.
Dove ho parcheggiato l’auto? Ricevo delle immagini sfuocate del giorno precedente ma sono ancora tratti surreali nel dedalo delle strade della mia mente. Ci riprovo, ma non ricordo. Ci provo ancora e l’auto appare naturalmente, al solito posto. Metto in moto l’auto, accendo l’autoradio, inserisco il mio disco preferito, il testo riesce a farmi vedere un’emozione, traduce perfettamente la storia che ho vissuto in quest’ultimo anno, la voce del cantautore è naturale, densa, solida e con rara lucidità esce dagli altoparlanti: «Mettere a fuoco i campi/ e uscire dagli abissi/per farsi perdonare/ per seminare i figli/ che non sappiano nulla/ eccetto l’illusione/ sognare da immortali/ seguendo una visione». Terminata la canzone sono già alle manovre di parcheggio, l’alternarsi dei pedali di frizione, freno, acceleratore, non sono stati d’ostacolo all’ascolto.
“Vorrei un calice di barolo.” Dico al ragazzo dell’enoteca. Lo fisso e sorrido. Lui compie dei gesti fluidi, eleganti. Apre la bottiglia, prende un calice lucido, trasparente, puro come la coscienza di un bambino. È un bicchiere accogliente, ha una pancia gonfia, rotonda, assomiglia a quella di una donna gravida. Versa. Il liquido scende lentamente dalla bottiglia, ascolto quel suono avvolgente. Mi avvicina il calice, il profumo mi risveglia i sensi, invade il mio spazio circolare, fatto solo di me. È un odore buonissimo, ha delle note di liquirizia e spezie. Faccio roteare il liquido nel bicchiere e lo osservo. È di colore rosso e blu come i miei lividi, granato come le mie vene, ha riflessi purpurei. Bevo un sorso. Il liquido conquista il mio palato, è armonia, sapore pieno, caldo, persistente con un finale di grande profondità. Bevo un altro sorso e mi brucia la gola forse perché oggi ho preso vento. Alla pelle invece ci pensano i ricordi, di quella presenza nella nostra vita, che brucia a volte come quegli schiaffi ricevuti. Abbandono il bicchiere e mi ascolto.
Avevo sotterrato il mio cuore sotto chilometri di aspettative, ho cercato di bloccare la loro invasione affinché non ci influenzassero, invece l’hanno fatto, siamo caduti e ci siamo fatti male. Vedo le ferite sulla pelle, ancora mi fanno male, le mie mani tremano. È stato un inverno egoista, crudo, spietato. Le tue mani toccavano me sul corpo dell’altra, ero complice anch’io di quell’inganno. Era necessario che accadesse. Avevamo le anime cariche di abitudine e lo sguardo puntato verso il futuro. L’altra ha avuto un ruolo fondamentale per cambiare direzione, per non restare nelle sedute comode dei nostri divani. È stata una lotta, un’avventura della vita nella vita, un corpo che diventava un nido, gravido di speranze ed eternità in totale antitesi alla distruzione di tutto quello che ci eravamo costruiti.
“Ti ricordi com’eravamo?” Ti dicevo. E tu non sapevi rispondermi. Eravamo due ragazzi all’università con gli occhi pieni di sogni.
Per fortuna ci siamo tenuti per mano.
Ora siamo la fame e la sete, la passione, la gioia. Credo nel futuro e nella bellezza dei nostri corpi.
Saluto e vado via. Ritorno a casa. Guido e canto: «Cos’è la vita, se non amarsi? Cos’è la vita, se non proteggersi? Cos’è la vita, se non cercarsi sempre? Cos’è la vita?».
¿CÓMO CITAR ESTE ARTÍCULO? : «Osmosi». Publicado el 29 de febrero de 2016 en Mito | Revista Cultural, nº.30 – URL: |
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