“Hannah” di Paolo Benvegnù.
“Ancora un’altra volta” di Antonio Tuzza.
La canzone … un disegno, uno schizzo, una fotografia che cattura istanti, ospita parole e idee, raccoglie attitudini, tendenze, gusto, ironie, inclinazioni di tempi e luoghi, sopravvive a rivoluzioni lessicali, apre l’obiettivo su temi esistenziali o minimalisti. Descrive, narra, racconta, illustra persone e sentimenti.
L’ascolto di certe canzoni d’autore e di certi testi, è un vero e proprio viaggio fantastico, allegorico. Una partita a scacchi solitaria che non vinci facilmente, in cui reale e fantastico si mescolano racchiusi in simboli non sempre traducibili in immagini, ma che ti rimandano a sensazioni forti ed evocative, piccole sfide che ti spingono ad ascoltare sempre più e che ti istigano a spiare dietro quella tenda sottile di velo fino a che quell’emozione iniziale non si trasforma in una figura del tuo pensiero, una sensazione paragonabile alla lettura della poesia pura, però per certi versi più maneggevole e semplice.
La canzone in tutte le sue forme ha sempre avuto una vita autonoma fra colto e popolare, dal lontano passato al presente più prossimo.
Allora faccio una capriola all’indietro e scivolo, come Alice in discesa verso la tana del Biancoconiglio, fino ad arrivare alla più antica forma metrica della lirica d’arte in letteratura, la prima forma di canzone. Le forme a noi note sono la “cansó” provenzale piuttosto che nella tradizione spagnola “Mester de juglaría” che nasce nelle strade delle città, nei saloni dei castelli, artisti di strada chiamati “juglares” diffondevano per tutto il paese racconti epici e liriche che cantavano e che accompagnavano con vari strumenti. In Italia si diffondono le arie di corte ed i madrigali … la canzone diventa il modello fondamentale da cui nasce la lirica colta, attraversa secoli, nelle sue varie coloristiche, si distingue sempre per il suo sublimare di parole e note.
Nel presente, in Italia, Earth Hotel (Woodworm, 17 ottobre 2014), un album meraviglioso firmato da Paolo Benvegnù, un poeta un visionario che riesce a disegnare emozioni in dodici tracce, dodici piani in ascesa, dodici prospettive diverse amorose e sentimentali.
Questo disco racconta con urgenza storie universali, persone, stanze amori di ogni tipo, l’amore sussurrato, quello che non lascia nessuna traccia.
“Hannah” il penultimo brano, l’undicesimo piano del racconto in tensione ascendente, fino al dodicesimo piano. Questa canzone racconta suggestioni poetiche che riesci quasi a vivere e si mescolano splendidamente alle note:
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Hannah
Cuore del mio cuore del mio sangue
Dormi, dormi
Dormi, tenendomi per mano
E senza dirmi addio
Tu che puoi dissolvere le Ombre
Dormi, dormi
Dormi, ché ho inventato un mondo nuovo
Solo per te
Io ci sarò sempre
Come il chiarore delle stelle
Dormi, dormi
Chiudi gli occhi per imparare a perderti
Per rincorrerti in sogno
e non prenderti mai
Seme del mio seme
Io sono fango e tu mi rendi un fiore
Dormi
Io guarirò per te
Nelle tue mani la fatica e l’orizzonte
Dormi, dormi
Dormi, ché la tua vita non ha fretta
Ed è la sola cosa che avrai.
E un giorno chiuderai gli occhi
Per capire di ciò che è stato
Quel che rimane
Ma adesso è qui, Amore mio
Lasciati respirare
In questa stanza vuota
Che si riempie della luce del mattino
E nei tuoi occhi aperti
Verticali verso l’orizzonte
Dove non c’è Paura, Miseria e Delusione.
Ti costruirò un aereo di carta, leggero
Mi porterai a volare
E per la prima volta
Vedremo il mondo cambiare
Cuore nel mio cuore del mio sangue
Dormi
Una canzone apparentemente di una semplicità disarmante, primaria, la musica tende a non sovrastare la narrazione, è forte la voglia di lasciarsi andare tra i versi, come quando è bonaccia e ti lasci portare dal mare, galleggiando, dimenticandoti di chiederti se la riva è lontana.
Si tratta sicuramente di amore, non abbiamo luogo, tempo e personaggi, emerge solo il sentimento sotterraneo dell’amore, quello puro, quello senza tempo, e non c’è “ti amo”, una lacrima, la luna, c’è molto di più, c’è quella passione a cui non puoi non concederti, in cui si riconosce il genere umano che ti rappresenta nella sua universalità.
Antonio Tuzza. Foto Fabrizio Rossiello, gennaio 2011
La canzone sopravvive ancora con tutta la sua forza poetica di linguaggio, resiste libera e vera.
E mi viene in mente, un altro brano: “Ancora un altra volta” di Antonio Tuzza, musicista, compositore, cantautore italiano di talento. Scelgo questo brano come esempio di linguaggio cantautoriale, di lirica diretta, caratterizzato da una poetica intimista:
Ancora un’altra volta
Io vorrei sapere che ne pensi di queste circostanze che ci rincorrono
Se non fosse il caso di fermarsi e ripensare tutto ancora un’altra volta
Sono stufo degli scollamenti e delle ambientazioni che suggestionano
Perché poi mi inducono pensieri di segni sovrapposti e nubi scrupolose
Io vorrei sapere se ogni tanto ti capita d’avere pensieri un po’ malsani
Non sto cercando la complicità ma almeno per capire se anch’io sono normale
Io vorrei sapere che ne pensi se io mollassi tutto e sparissi per un po’
Per lasciare riposare questa fonte, la sorgente di veleni che è la mia chitarra
Io vorrei sapere che ne pensi se strappassi le mie braccia
Così come si strappa una fotografia
e tutto quel passato che ti vomita addosso ogni volta che ti spia
io vorrei sapere che ne pensi e se in queste circostanze faresti come me
se abbia ancora un senso darsi tanta pena soltanto per rincorrere il prossimo declino
si, vorrei sapere che ne pensi perché forse non ti è chiaro
ma quello che tu pensi è per me così importante
anche per uno come me legato mani e piedi al suo egoismo maledetto
forse non c’è niente da capire ma solo da accettare
una volta e per sempre che ormai questa stanchezza è condizione permanente
allora sì che è il caso di fermarsi e demolire tutto
ancora un’altra volta
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Musica e testo Antonio Tuzza
Antonio Tuzza. Live Maggio 2014
E’ a mio avviso una canzone perfetta, racconta con urgenza, spara addosso le emozioni, l’intera narrazione è in tensione, racconta con passione, preoccupazione e attesa. La musica è un esplosione di energia, un rock passionale autentico, che entra in rapporto simbiotico con il testo e con le parole, quelle parole hanno bisogno solo di quelle chitarre e di quei bassi.
All’inizio hai quasi l’impressione di sentirti sopraffatto da un senso di rassegnazione o di sconfitta legato alla vita, invece, se tieni gli occhi ben chiusi e ascolti, hai la visione di quella illogica logicità dell’ essere, della vita. Neanche tu che ascolti riesci a dare una risposta alle colpe che ognuno di noi si da per sentirsi sollevato e magari per poter dare un ordine alle cose.
Questi quesiti aperti raccontati con un cinismo un po’ amaro sono nugolo di stimoli aperti a riflessioni su argomenti così profondi che non ti fanno respirare, un sentire umano in cui ti ritrovi, a volte felice a volte no, e l’autore ci canta proprio quell’emozione senza tempo del vivere che ci descrive a pieno.
Attraverso l’ascolto di questo brano sono riuscita a vedere ciò che l’autore ha descritto con impellenza: quello che siamo.
Portada: Pablo Picasso. Nu couché et homme à la guitarre (1972)
- Historia de la literatura española, José García López, Barcelona, Vicens Vives, 1978 (1ª edición: Barcelona, Teide, 1948).
- http://www.paolobenvegnu.com/
- Paolo Benvegnu, Earth Hotel Woodworm, 17 ottobre 2014.
- http://www.tuzza.it/
- https://www.youtube.com/watch?v=lKgEpIgbrOQ